2 novembre 2010

FIAT for Dummies




Qualche giorno fa l’AD di FIAT Sergio Marchionne ha fatto una scampagnata nello studio televisivo del sempre mite Fabio Fazio e la cosa non è passata inosservata dato che con una frase di meno di 50’’ ha scosso le fondamenta delle redazioni dei giornali, fatto tremare i palazzi romani e dato una scrollata ai salotti bene del capitalismo italiano. Effetti piuttosto pericolosi se si pensa che l’età media dei frequentatori di questi luoghi è di circa 85 anni. La parte apparentemente esplosiva del discorso del manager è stata la seguente: “Faremo 2 Mld di utile operativo nel 2010, nemmeno un euro di questi è fatto in Italia, qui siamo ancora in perdita…se dovessi togliere la parte italiana dai risultati la FIAT farebbe di più…uno non può gestire delle operazioni in perdita per sempre”.

Il giorno dopo si è scatenata l’artigliera di politici e giornali contro l’AD del Lingotto, accusato di “sputare nel piatto dove ha mangiato” (Calderoli) e di parlare “da Canadese più che da Italiano” (Fini, ma perché è sbagliato essere canadesi?).
Particolarmente agguerrita la schiera degli uomini di fiducia dell’Avvocato Agnelli: Furio Colombo, passato dall’ufficio newyorkese di Presidente di FIAT-USA alle barricate anti berlusconiane, scrive che “una profonda antipatia emana come uno strano effetto speciale durante i 14 minuti di presenza e monologo di Sergio Marchionne”; Marco Benedetto, ex capo ufficio stampa del Lingotto e una delle menti dietro la Marcia dei 40 mila del 1980, ha dichiarato  che “l’intervista è stata un autogol pazzesco”.

A distanza di qualche giorno forse possiamo provare a mettere tutto nella giusta prospettiva attrverso un esempio basico e concreto che sia in grado di spazzare il campo da facili moralismi.

Pinco Pallino all’inizio degli anni ’60 apre una macelleria per conto proprio in un quartiere popolare di Milano, diciamo la Bovisa. In quel luogo al tempo assai periferico, ma molto popoloso, non c’erano esercizi commerciali di quel tipo e cosi il negozio ha gran successo. Le stesse autorità cercano di favorirne gli affari per venire incontro alle esigenze dei residenti: i vigili chiudono un occhio sulle operazioni di scarico merci, gli spazzini si prodigano nel portar via la carne gettata via per evitare cattivi odori, i postini consegnano le fatture con solerzia e la polizia è sempre attenta al momento della chiusura per scoraggiare eventuali male intenzionati.
Gli affari vanno cosi bene che il Signor Pinco festeggia i primi 100 Milioni di lire nel 1970, diventando cosi Dottor Pallino per prassi adulatoria nazionale. Tra mettere i soldi in Svizzera, a riparo dal notoriamente insidioso fisco italiano, o allargare l’attività, sceglie la seconda ipotesi e apre una nuova macelleria in zona Porta Nuova.
Anche qui le cose vanno a gonfie vele e cosi nel 1980 il titolare può festeggiare il 1° Miliardo di lire e avanzare nella Milano bene, che in quegli anni è anche da bere, aprendo una terza macelleria (pardon, boutique de la chair) in Piazza San Babila.

Arriviamo cosi ai giorni nostri, quando quello che è ormai diventato Cavalier Pallino è un anziano dal pingue conto corrente che passa lo scettro del comando (o lo stinco del comando) al nipote, che di carne non sa niente, anzi è vegano. Ma questo non è il suo unico difetto, è anche laureato in Economia (quella triennale da 180 crediti, ovvero 150 e una tessera bocciofila, o 120 e 10 mila € di spesa alla Rinascente). Quando il nuovo timoniere sale in plancia scopre che i 3 negozi di famiglia producono 100.000 € di utili l’anno, ma andando a vedere nel dettaglio il bilancio scopre che mentre le macellerie più giovani sono in attivo di 200.000 € complessivi, quella originaria perde circa 100.000 € ogni anno.


Ora, il quesito da porsi è quanti samaritani ci sono che sarebbero disposti a mantenere nel proprio perimetro aziendale un’attività in perdita?
Non ci sono motivi affettivi o legami col territorio che tengano.
Negli affari non c’è e non ci deve essere il lato personale. Un ramo di attività che non va bene ed erode gli utili della parte sana dell’azienda o viene ristrutturato radicalmente (e ciò non può essere fatto in maniera indolore, vedi caso Melfi) o viene dismessa (coming soon).
Che piaccia o meno questa è l’essenza del capitalismo, come dice Gordon Gekko: “greed is good”.

Piuttosto si dovrebbe riflettere seriamente su quanto serva all’Italia negli scenari economici dei prossimi decenni un’industria automobilistica. E’ una priorità nazionale conservare un settore destinato al declino? Non sarebbe forse meglio investire risorse in business che domineranno il secolo appena iniziato anziché rimanere ancorati al mito novecentesco del motore a scoppio?

Cena di famiglia per i Pallino

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